sabato 30 maggio 2009


Era terrore, un vero terrore, in tutti questi anni, il solo pensiero di questo momento.
Non sono padre, ma sono stato figlio…
Conosco il dolore d’un cordone ombelicale tagliato.
Morte e Amore sono le due facce della stessa medaglia.
Lei era per me il fluire stesso della vita.
Un legame costantemente intenso, profondo, fin dal primo istante che l’ho vista,
un giorno ormai lontano circa dieci anni fa.
Non avevo strada alcuna per alimentare la mia speranza,
se non un immane sforzo di comprensione,
quale muta o urlata, volutamente impotente, risposta alle sue azioni.


Tre anni fa avevo già certezza che era questo il punto d’arrivo di questa relazione.
Il mio umile agire, di tenace e paziente, ostinata … formica nel costruire,
o meglio nella vana illusione di costruire, con tutti i miei limiti, un rapporto,
e nell’insieme realizzare progetti finalizzati null’altro che al futuro…familiare,
è stato preso e interpretato, e giudicato insufficiente, solo per il superficiale,
giocoforza limitato perché ancor neonato, risultato materiale.
Ho pagato, senza sconto morale alcuno il mio “errore”,

l’aver accettato la mia univocità di sentimenti, sin dall’inizio mai corrisposta.
Ero consapevole della possibilità scontarne atroci conseguenze, sofferenze impostemi,
di cui un animo altrui ha volutamente ignorato l’esistenza, per tantissimi anni.

La mia era una speranza mai sedata, perché amavo…
Ingenuamente, sin quando mi si è parata innanzi “scortata” …che illuso!...
Credevo lei venisse in pace e per la pace, a darmi spiegazioni cui una persona,
uomo o donna che sia ha diritto, quando ne è lesa la dignità…
E il cuore in un istante mi venne caldo, accogliente e aperto, spalancato come sempre…
per ritrovarmi pochi istanti dopo attonito, a terra, ferito, gli occhiali scalzati:

cercai solo il suo sguardo.
E quando lo trovai solidale e solo preoccupato preservare suo genero,
poi sin con la disgustosa menzogna, rinnegandomi…al punto che sin i militi ne risultarono scossi…
All’Amore, il suo, pur di restarle accanto,

avevo già rinunciato in uno squallido ufficio matrimoniale.
Per giungere al quale avevo lasciato e ignorato ogni consiglio e buon senso comune.
Mi aspettavo però da lei, ero certo,

a fronte del mio coraggio nell’assumermi responsabilità enormi,
solo per Amore,
almeno da parte sua una scontata comprensione,
e un conseguente rispetto per i valori fondamentali cui non un uomo innamorato,
ma una qualunque persona ha diritto.


Solitudine non è una compagna insopportabile.
Combattere in solitudine, contro tre persone unite nella bugìa, è un ruolo che non auguro alcuno.

Ero povero e rimango povero…
Non rimpiango quattro spiccioli, ritenevo, era un dovere spendere per la “mia” famiglia…
Una conseguenza di responsabilità che mi ero assunto con gioia.
Credo che se uomini animati e sostenuti anche da un semplice sguardo, una stretta di mano,
la carezza d’una compagna, ebbene se questi uomini scalano in virtù di quella forza

vette gelide e ostili, e innalzano templi agli dei o grattacieli,
alcuni addirittura diventano presidenti…
Io credo che qualcosa di buono avrei combinato.
Venne un periodo, breve, che mi sentivo felice come un bambino e fortissimo come un toro.
Prima che lei arrivasse rilanciai una Azienda quasi morta… tutto quel che facevo, era solo per lei.

Ero un uomo innamoratissimo, nell’accezione più completa e profonda del termine.
Di lei mi era caro ogni respiro, oltre ogni dire.
Ci ho provato a spingere e isolare la mia mente ancor più d’ogni comune sentire.
Ma pian piano, giorno dopo giorno, mese dopo mese, mi si allontanava,
e sin le umiliazioni delle ferite più laceranti e profonde trovavo a ricompensa
del mio atteggiamento permissivo e comprensivo.

Tutto questo fa sì che oggi non provo il folle dolore d’un distacco,
perché questa conseguenza, terribile, viene da lontano.
Io non ho rimpianti.
Sono umile, contento di esserlo perché questo mi ha permesso arrivare all’oggi
senza tralasciare non solo strada,
ma anche sentiero alcuno, inesplorato, per restare al fianco di questa donna.
E’ rimasto un rifiuto, suo, costante.
Che accetto, nell’essenza, perché mai, mai , mai, ho inteso lei prigioniera…

seppure del mio sentimento.
Un uomo che ama, può mai gioire della infelicità della persona amata,
o un amore è forse qualcosa che si compra come una casa o un gelato?
Ero semplicemente poca cosa… quasi il nulla per lei.
Bastava dirlo, “doveva” dirlo, però, quattro anni fa, in quello squallido ufficio matrimoniale.

Il suo errore, l’ha per intero scaricato sulle mie spalle.
I primi quattro anni, anche quelli in Ucraina, io solo, malato e ignorato,
“emigrante”in Italia a mantenere la “mia” famiglia,
posso considerarli ancora conseguenza del mio errore, dell’amante insistente,
che aveva nuotato contro corrente, troppo a lungo, per strapparne un effimero risultato:
una vicinanza fisica, ma mai veramente spirituale, alla quale agognavo,
e che lei non poteva darmi, e della quale non le faccio colpa alcuna.

I restanti cinque anni di inutili e disumane sofferenze,
fanno sì che io affronti questi giorni con una coltre sì d’amarezza a lei ignota
perché come al solito è reinserita in uno schema di sopravvivenza,
giustissima e primaria,
ma conseguenza del suo modo di vivere, che immancabilmente si proietta poi nel materiale.
Un eterno ricominciare.

Ma in tutto c’è del positivo: per questa forza la ammiro.
Oggi come quando la conobbi.
Ma oggi, a differenza di tanti anni fa, capisco che è un percorso,
un accidentato sentiero che si procura da sola.
Che le ha procurato già quattro matrimoni. E conseguenti fallimenti.
Questa ansia di vita,

percepita, ambita, struggentemente desiderata da noi tutti,
non serve se maschera, forse, nel suo caso,

forse un vuoto interiore sì assoluto da spingerla ad un eterno errare
in una vita di contralto che nulla di eterno ha,

e ove, a costo di strappare l’ennesimo sorriso di scherno,
riemerge con prepotenza ai miei occhi di cinquantenne,

che quel che veramente conta e riempie sono stati,
sono e saranno per sempre soltanto i sentimenti.

La sua giustifica, in nome del quale le era lecito e appagante la coscienza “sacrificarmi”, usandomi, era: “Voglio vivere bene!”
Chi è che non lo vuole…?

Ci si sente veramente pieni quando si ama, e almeno in parte, si è riamati.
Comprendo e accetto che ero per lei poca cosa, perché in effetti lo sono.
Ma ero, sono una individualità senziente, non sono il nulla.
E chiedevo il semplice, dovuto rispetto del sentimento.
Ove un rifiuto, e il dolore, sarebbero diventate cose esclusivamente mie.

Ho subito e sofferto l’ambiguità e la bugìa.
Neppure voglio rimpiangere il mio tempo ormai trascorso, dieci anni, quelli centrali,
più interessanti forse nella vita d’un uomo, quello tra i quaranta e i cinquanta…
Uomini molto, ma molto migliori di me stanno peggio:

barboni, drogati, alcolizzati…persino suicidi.

Io rimpiango di questi anni tutto il tempo che non mi ha dato, che per me non aveva mai.
E’ stata questa la sofferenza più grande.
Di nove anni, quanto tempo, realmente abbiamo trascorso insieme?
C’era tempo per tutti, tanti,

innocente o un po’ meno che lo fosse ha “speso” per altri il suo tempo.
Per me quasi nulla, solo miseri scampoli…

A.D. 2009, trenta maggio, riflessioni d’un Gabbiano in planata

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